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LA GUERRA NON HA MAI NULLA DI EPICO. MAI.

Che la guerra sia una tragica iattura per il genere umano è un fatto acclarato. Ce lo dimostrano anche molti intellettuali, artisti e scrittori che ne hanno pagato il prezzo sulla propria pelle. Una voce molto interessante a riguardo è quella di Giuseppe Ungaretti.

Tra gli esponenti della letteratura italiana del Novecento, che meglio hanno espresso le proprie considerazioni sul tema della guerra, annoveriamo sicuramente Giuseppe Ungaretti, autore di numerose raccolte poetiche, tra cui la più importante e nota è l’Allegria, che comprende tutti i componimenti scritti da lui al fronte. In quest’opera sviluppa principalmente proprio il tema della guerra, nello specifico la Grande Guerra, alla quale egli stesso prese parte.

Prima dell’entrata dell’Italia nella guerra del ’15-’18, nel paese si era innescato un infuocato dibattito tra neutralisti ed interventisti: molti intellettuali, tra i quali lo stesso Ungaretti, si schierarono dalla parte degli interventisti. L’autore di celebri poesie come “Veglia”, “San Martino del Carso”, “Soldati”, aveva da giovane un’idea della guerra molto poetica: la guerra era considerata non soltanto come un’occasione per rivendicare ciò che la Storia non aveva ancora restituito al nostro paese in quanto a territori, ma anche come un’esperienza di arricchimento personale, un’occasione per misurare il proprio coraggio. Quando poi, una volta nelle trincee, il poeta ha avuto modo di vivere in prima persona l’orrore della guerra, di toccare con mano il dramma della morte di molti suoi commilitoni, non ha potuto fare altro che denunciare, nei suoi versi, un così tanto grande scempio. Ancora oggi le sue poesie più belle sono proprio quelle scritte al fronte, sul Carso, nelle quali, con l’estrema sintesi tipica dell’Ermetismo, trasmette al lettore tutto l’orrore che questa esperienza umana genera in chi ha avuto la triste sorte di viverla.

Nella poesia Veglia l’autore descrive, con un linguaggio estremamente efficace, l’orrore della guerra fissato nell’immagine del cadavere di un suo compagno massacrato nella trincea. La morte, tuttavia, non è solo un’esperienza dolorosa, ma è anche un monito per chi rimane: di fronte alla morte si dovrebbe sempre apprezzare la vita, più che mai.

VEGLIA (Cima Quattro sul Monte San Michele, 23 Dicembre 1915)

Un’intera nottata

buttato vicino

a un compagno

massacrato

con la sua bocca

digrignata

volta al plenilunio

con la congestione

delle sue mani

penetrata

nel mio silenzio

ho scritto

lettere piene d’amore

In San Martino del Carso, invece, Ungaretti mette in luce soprattutto la devastazione che la guerra infligge al paesaggio, in particolare ai borghi, che vedono le proprie case ridotte a brandelli. Ma le case almeno un giorno si potranno ricostruire. Di molti morti, purtroppo, non rimangono neanche i brandelli e l’unica cosa che potrà tenerli in vita sarà il ricordo da parte dei sopravvissuti, un ricordo conservato nel cimitero del cuore.

SAN MARTINO DEL CARSO (Valloncello dell’Albero Isolato sul Monte San Michele, 27 Agosto 1916)

Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto

neppure tanto

Ma nel cuore

nessuna croce manca

È il mio cuore

il paese più straziato

Non sono mai stato

tanto

attaccato alla vita

 

Infine, nella poesia intitolata Soldati, il poeta, attraverso l’analogia tra i soldati e le foglie in autunno, sviluppa il tema della precarietà dell’esistenza umana che, mai come durante una guerra, è una caratteristica costante dell’uomo, il cui destino è quanto mai fragile e caduco, esattamente come quello delle foglie che, ormai secche, si staccano inesorabilmente dai rami degli alberi e precipitano a terra.

SOLDATI (Bosco di Courton 1918)

Si sta come

d’autunno

sugli alberi

le foglie

 

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