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I CAPENATI

Parte terza

La definizione etnica dei Capenati non è semplice, infatti gli scrittoti antichi li distinguono
sempre rispetto alle popolazioni vicine cioè dai Falisci e dagli Etruschi.
La parentela culturale con la Sabina tiberina, oltre che con l’adiacente agro falisco, ha
suggerito di interpretare l’ethnos Capenate come una sorta di “cuneo” di provenienza
transtiberina insinuato tra Latini e Falisci. Il processo andrebbe datato almeno alla tarda
età del bronzo, dal momento che già dall’età del ferro si manifestarono segni di una cultura
ben definita. E’ peculiare l’uso di urne a capanna rinvenute solo a Capena presso Fiano e
tombe ad incinerazione.


Parlavano una lingua del tutto originale, affine all’etrusco, molto simile al latino e con
influenze sabine.
La città di Capena e l’Ager Capenate erano il principale insediamento dei Capenati,
stanziati nell’ansa del Tevere a sud del Monte Soratte e si caratterizzarono soprattutto
come un territorio e una città cerniera, che gravitavano sul Tevere, perno fondamentale
per i rapporti tra l’Etruria interna, il mondo Sabino, i Latini e la Campania. Ciò appare
chiaramente anche dalle fonti letterarie che trattano di Lucus Feroniae, santuario posto sul
Tevere, di fronte alla sabina Eretum e raggiungibile con un semplice traghetto.
Qui si incontravano Latini, Etruschi, Sabini, Falischi e Capenati.
Questa posizione fu determinante in quanto importante via di traffico che dall’Adriatico
centro-orientale, attraverso il Piceno e la Sabina, giungeva al Tirreno, permettendo
numerosi scambi economici e culturali fino dall’Età del Bronzo. Inoltre la valle del Tevere
era collegata verso sud, attraverso le valli interne del Latium (con un percorso che sarà poi
ricalcato dalla Via Latina in età romana) e con il Garigliano, con Capua e la Campania
interna; mentre verso nord, attraverso Volsinii e la Valle del Fiora con l’Etruria interna.
Inoltre, attraverso la Chiara si poteva raggiungere Chiusi, Arezzo e da qui la Pianura
Padana.
Riflesso dell’importanza degli scambi fluviali sono il ritrovamento di due modellini fittili di
barchette, nella tomba XVI della necropoli di San Martino uno ora esposto nel museo di
Copenhagen.
Altre vie interne dovevano mettere in comunicazione Capena con il territorio Cerite,
attraverso Campagnano fino ai monti della Tolfa dove fu rinvenuto il cratere con l’iscrizione
paleoitalica “capenate”.
Si comprende dunque in quale punto vitale si sia sviluppata la città di Capena tra la fine
del IX e VII secolo.

I principali centri abitati della zona erano rappresentati da Capena, sul colle della
Civitucola, o Castellaccio, il Lucus Feroniae, importante centro di culto e commercio e la
città di Seperna, di cui non è ancora certa l’esatta ubicazione.
A nord di Capena, al confine con il territorio falisco si trova il Monte Soratte dove veniva
praticato il culto di Apollo Sorano.
Nelle fonti letterarie Capena compare per la prima volta in un passo delle Origines di
Catone, riportato da Servio nel suo commento all’Eneide, in cui si dà notizia della
fondazione Veiente della Città avvenuta sotto la guida di un ignoto re Properzio (et Cimini
cum monte Lucosque Capenos: hos dicit Cato Veientium <iuvenes> condidisse auxilio
regis Propertii, qui eos Capenam, cum adolevissent miserat) secondo una sorta di VER
SACRUM (Il Ver Sacrum o Primavera Sacra era una ricorrenza rituale di origine arcaica
praticata dai diversi popoli dell’Italia antica che comportava la deduzione di nuove colonie).
Dal V e IV secolo si hanno notizie più certe e riguardano l’alleanza con Veio insieme ai
Falisci ma in funzione autonoma.
Infatti, in particolare, nell’anno 397 a.C. Capenati e Falisci appaiono totalmente autonomi
sul piano politico, tanto da poter inviare propri rappresentanti al Conciliabolo del Fanum
Voltumnae (Liv. V 16,6) (Il Fanum Voltumnae era il Santuario federale etrusco, di incerta
identificazione, che recenti scavi archeologici sembrerebbero localizzarlo sotto la Rupe di
Orvieto.
In questo Santuario era dedicato al Dio Vertumno, probabilmente un aspetto del Dio Tina
he sembra essere l’equivalente del romano Giove e del greco Zeus.
A partire dall’orientalizzazione si evidenzia una progressiva caratterizzazione culturale per
le aree Capenate e Falisca, ribadita anche dall’emergere di peculiarità linguisticamente
che vedono già dal VII secolo la diffusione di un idioma Falisco ed un idioma Capenate.
Dunque i caratteri etnici di Falisci e Capenati non sembrano distinguersi prima
dell’orientalizzazione antico, ma sulla base dei dati sull’evoluzione territoriale è possibile
risalire alla metà del VIII secolo a.C..
Con la fase tarda della prima età del Ferro si registra la strutturazione dei territori Falisco e
Capenate secondo una logica che rimarrà inalterata fino alla conquista romana del IV-III
secolo a.C.
A livello di ipotesi storica è possibile collegare la progressiva crescita di importanza dei
comparti capenate e falisco nel territorio di influenza veientana con l’espansione della
comunità romana nella bassa Valle Tiberina che progressivamente erode a Veio il
controllo della sponda destra del Tevere, con la disputa delle saline e giunge anche ad
interrompere il flusso dei traffici che si svolgevano lungo l’itinerario che da Veio giungeva a
Palestrina, grazie ad una serie di conquiste che portano Roma, tra l’VIII ed il VI secolo
a.C. a detenere anche il comparto a nord dell’Aniene fino ai margini del territorio Sabino.

La tradizione letteraria tramandata da Dioniso di Alicarnasso attribuisce a Tarquinio Prisco
una serie di vittorie militari romane sugli etruschi di Veio e Caere e soprattutto di una
coalizione antiromana (Etruschi settentrionali, Sabini e Latini) che si conclusero con la
sconfitta militare presso Eretum.
E’ in tale contesto che i Falischi ed i Capenati assumono una importanza ulteriore per la
Comunità Veiente in considerazione della possibilità di mediare i commerci tra l’Etruria
costiera di Caere e Tarquinia e le aree Umbra e Sabina dalla seconda metà del VII secolo
a.C.
A partire dal VI Secolo a.C. la progressiva decadenza di Veio, sul piano geopolitico in
favore di Roma, contribuisce all’autonomia delle aree Falisca e Capenate con un maggiore
ruolo economico e commerciale, delle due comunità, in particolare tra IV e III sec.a.C.
quali diretti intermediari dei commerci di Roma.
Nel IV secolo a.C. ebbe luogo la mitica e decennale guerra tra Veio, i Capenati ed i Falisci
alleati e Roma per il controllo di questa zona del Tevere.
Queste lotte terminarono con la sconfitta degli alleati da parte di Roma nel 395 a. C. e la
caduta di Veio per mano di Furio Camillo.
L’esame della documentazione archeologica, fornita dalla tradizione, dei rapporti tra Veio
e l’agro falisco e capenate sono documentate dall’archeologia fin dal VIII sec. a. C e Livio
ci riporta le maggiori informazioni.
I Capenati insieme ai Falisci sono alleati di Veio nel corso della guerra contro Roma, che
si protrasse tra il 402 ed il 396 a. C., anno della presa della città Etrusca.
Il racconto di Livio, ricorda, nel corso del conflitto, incursioni romane nel loro territorio, con
devastazioni e incendi di fattorie e raccolti, e attacchi agli oppida, mentre a Veio i Romani
ebbero la meglio in una battaglia contri i tre eserciti alleati.
Seguirono nuove devastazioni e saccheggi a Falerii e Capena e le due città si videro
rifiutare la richiesta di strappare Veio all’assedio avanzata, nel 397 a. C., dai popoli
d’Etruria riuniti in concilio al Fanum Voltumnae. Fu fatta la sola concessione, per
l’appartenenza al Nomen Etrusco, di accettare che quella guerra ci fossero dei Volontari.
Nel corso del 396 a. C. i Romani si scontrarono con Falisci e Capenati, prima con esito
negativo, poi riportando su di essi una vittoria in territorio nepesino, sotto la guida di M.
Furio Camillo.
Dopo la presa di Veio, nuove incursioni e saccheggi nella campagna falisca e capenate,
soggiogarono Capena, che chiese ed ottenne la pace.
Secondo Livio, nel 389 a.C. furono accolti nella cittadinanza quanti tra Veienti, Capenati e
Falisci erano passati, durante quelle guerre, dalla parte dei Romani e questi nuovi cittadini
godettero di assegnazione di terre.

Dopo la conquista romana, tutto il territorio fu ascritto alla Tribù Stellatina con la creazione
di un Municipio Federato nel 387 a.C..
Dal periodo repubblicano non si hanno molte notizie, certo è che Capena mantenne la sua
importanza di “Municipio Federato”, ricco e fiorente, come testimoniano i numerosi
ritrovamenti di manufatti del periodo ellenistico e la fama dei tesori del Lucus Feroniae che
attirò anche Annibale, il quale nel 211 a.C. saccheggiò il Santuario.
Nel periodo imperiale, parte del territorio fu inglobato nel “Patrimonium Caesaris” e
aumentano i latifondi come dimostrano le numerose Ville sorte nella zona, la più famosa
delle quali è la Villa dei Volusi.
Infatti, a causa della instabilità dell’autorità imperiale e dell’inflazione, che determinò
l’abbandono delle città da parte dei nobili, questi si ritirarono nei propri latifondi.
Ogni villa del tardo impero cominciava così ad avere l’aspetto di quello che doveva essere
più tardi, il Feudo Medievale con il suo Castello come nucleo centrale e il borgo fortificato,
che era chiamato “Castrum”.
Nell’era Cristiana, il territorio fu chiamato Collinense, per la natura del suolo, e il primitivo
“Patrimonium Caesaris” divenne un fondo della Chiesa di Roma e fu un baluardo contro le
invasioni dei Longobardi e dei Franchi.

Rosanna Alei

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