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Euro 2020 in ginocchio per cosa?

Questa sera ci sarà Italia Austria, ottavo di finale degli europei di calcio.
Ad accompagnare l’evento sportivo, un’infiammata polemica sull’opportunità o meno che gli azzurri si inginocchino nel segno del Black Lives Matter.

Intanto la cronaca ci dice che, per bocca di Leonardo Bonucci, vice capitano della selezione, il gruppo dei calciatori sembra non essere favorevole al gesto ed abbia deciso di rimanere in piedi nei secondi che precedono l’inizio della partita.

Gesto razzista rimanere in piedi?
Oppure simbolismo inutile l’inginocchiarsi?
Magari né l’uno né l’altro.

Già perché il gesto iconico ha un suo valore ed una sua dignità se il messaggio che vuole veicolare trova compimento in contenuti culturali e politici.
Altrimenti diventa retorica pelosa buona per gli hashtag.

Allo stesso tempo il principio della “libera scelta in libero stato”, valore cardine del pensiero liberale tanto caro alla narrazione culturale a difesa dei diritti civili, dovrebbe tutelare la scelta di restare in piedi dalle accuse di razzismo.

Partiamo da un presupposto: chi scrive si inginocchierebbe, senza problemi e ridendo di gusto alle parole d’ordine con le quali la galassia sovranista prova a giustificare la propria pochezza istituzionale ed etica.
Però non si può non dire che le forzature (ed il vuoto etico che le accompagna) sono inutili e rischiano di raccontarci una realtà artefatta, falsa, ipocrita.

Se nelle aule della politica e della cultura (è doveroso tornare su questo aspetto dell’argomento, anche se può sembrare ripetitivo) non si inizia a combattere seriamente la battaglia contro le discriminazioni, magari parallelamente alla battaglia per i diritti sociali a tutela dei lavoratori, undici ragazzi in ginocchio, seppur in eurovisione, continueranno, purtroppo, a veicolare un messaggio debole.
Idolatria vuota verso un simbolismo peloso.

Perché il rischio reale è che “passata la festa gabbato lo santo”.
Ripetiamo ancora, come un disco rotto, politica e cultura. I simboli devono incarnare valori che diventano azione.

Altrimenti continueremo ad avere due terzi di italiani convinti che il poliziotto che, qualche giorno fa, alla stazione Termini, ha gambizzato un immigrato, in compagnia di altri sette (SETTE) colleghi, stia vivendo sulla propria pelle lo stigma di un’ingiustizia perché finito, giustamente invece, sotto processo.

Ecco, il razzismo è questa roba qui.
E, per combatterlo, ok i gesti simbolici (se sentiti), ma poi serve altro.
Molto altro.

Claudio Quaglia

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