È morto all’età di 84 anni il giornalista e scrittore Giampaolo Pansa.
Nato a Casale Monferrato nel 1935, Pansa ha dedicato buona parte della sua carriera al giornalismo, raccontandoci con i suoi scritti pagine importanti della storia d’Italia, dal disastro del Vajont alla strage di Piazza Fontana, solo per citarne alcune. Lo studio e l’approfondimento della storia sono sempre stati però il tratto d’unione della sua lunga vita che è stata di scrittore oltre che di giornalista; impegno grazie al quale ha offerto nuove chiavi di lettura del nostro passato più recente, ponendo in evidenza realtà spesso scomode.
Pansa scrisse molti anni per il gruppo editoriale L’Espresso, che lasciò nel 2008 per profonde conflittualità con la linea editoriale. Dopo questa rottura iniziò a collaborare con giornali quali “Il Riformista” e “Libero”, ma soprattutto continuò a dedicarsi alla sua produzione letteraria più discussa, incentrata sull’approfondimento storico riguardo la resistenza partigiana.
“Il sangue dei vinti”, saggio del 2003, può essere considerato il vero punto di svolta nella lunghissima carriera di Pansa. Quest’opera narra le violenze perpetrate dai partigiani comunisti subito dopo la liberazione del ’45 a scapito non solo di fedeli al fascismo, ma anche di familiari e cittadini comuni che nulla c’entravano con il movimento totalitario e anche di partigiani appartenenti a movimenti non comunisti. Una sorta di arbitraria guerra civile, quindi, in preparazione di una futura rivoluzione proletaria. Tesi, quest’ultima, basata sul nulla secondo alcuni storici tra cui Marcello Flores, a detta del quale a fronte di singoli episodi efferati non esiste però prova alcuna di un fantomatico tentativo di colpo di stato. Le reazioni all’opera furono durissime, visto il tono generalizzante e denigratorio con cui gli ambienti di destra si sentirono autorizzati a rileggere l’intero movimento della Resistenza basandosi proprio sugli scritti di Pansa, il quale costruì una narrazione tale da rendere totalizzanti dei singoli, gravissimi episodi, che di totalizzante però non avevano davvero nulla. L’onestà intellettuale che sembrava spingerlo verso questo studio approfondito del tema non generò poi uno scritto completamente trasparente, poiché la commistione tra romanzo e cronaca andò a discapito di quest’ultima: all’epoca colpì soprattutto l’enfatizzazione da parte di Pansa di alcuni dati e dettagli, in seguito contraddetti e smentiti addirittura da fonti fasciste, che resero “Il sangue dei vinti” un ottimo romanzo sì, ma davvero troppo povero di quei riscontri necessari per dare, oltre la veridicità, anche la reale misura degli accadimenti storici. Ciò che la storia del fascismo e dell’antifascismo ci insegna, infatti, è che l’orrore non ha bisogno di enfasi. I dati, nudi e crudi, già spaventano da soli.
È merito di Giampaolo Pansa però quello di aver squarciato un velo pesante, liberando nell’aria verità scomode, con la cifra stilistica che solo grandi scrittori come lui potevano garantirci.
(Foto: Corriere della Sera)
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